Maldestre osservazioni per
contatti passeggeri
Storie dal terzo millennio
Resoconto speciale per situazioni
spiacevoli o spaziali.
Intuizioni poetiche catturate con un certo subconscio isterico.
Evidentemente, con occhi sempre spalancati.
Camminando frettolosamente per strada,
a fianco dell'odioso collega d’ufficio
o preparando un piatto dal sapore antico,
sempre in compagnia del fedele trolley,
status-symbol di questi tempi.
E se fosse proprio lui a sapere tutto di noi?
LEGGI L'ANTEPRIMA
Mesto, mesto
Apre un sacchetto di carta, mesto mesto, butta per aria mollica di pane,
per testare la voracità di un gabbiano.
Con il suo abito sgualcito, mesto mesto, tira fuori un panino intero.
Poi, uno dietro l'altro, e a seguire uno storno che si fa più numeroso.
Chissà se loro, i commensali, si accorgono del solco profondo
sul viso di quell'uomo che vuole condividere uno scherzo del destino.
Chissà se sanno interpretare il finale che lo accomunano.
Sarebbe uno schiaffo becero non sapere a cosa vanno incontro.
Mentre un altro gabbiano riesce a strappare in volo un pasto ghiotto,
supera la timidezza e osa un bacio sulla fronte del suo nuovo amico.
L'intesa è già conclamata.
Contatti claustrofobici
Nebbia antica e penetrante come quella dei tuoi occhi
nel momento in cui si cancella all'istante la visuale di un incontro
che mai e poi mai si immaginava accadesse,
che non vuole nemmeno percepire l'ultimo incontro claustrofobico
di fronte a quel bistrot.
Facile svicolare dal compagno delle elementari appena intravisto
sotterrando lo sguardo con la scusa del piede informicolato,
disdegnando e inventandosi, inorridito, di aver pestato un chilo
di popò di mucca.
La scusa più giusta per uscire dal pantano ed evitare il saluto di una
sagoma appena riconosciuta, riemersa dal sotterraneo dei ricordi,
è sbrogliarsi in fretta e furia gesticolando con un gran da fare,
ricordandosi all'improvviso di milioni di commissioni da fare
da qui al secolo successivo.
Ecco un'altra scusa più che mai giusta
per evitare una distorta smorfia all'ennesimo impasse,
al parcheggio in pieno centro: quell'antipatica figura incrociata sì e no
tre volte in modo frettoloso,
dall'aria dannatamente curiosa che mi esamina in quattro secondi…(continua)
Frantumi di vita
A caccia di petardi inesplosi
per frantumarti a episodi.
Piccoli artefici,
la sera del primo dell'anno,
ridendo acremente
riaccendo un virus violento.
Ancora frantumi nel vento.
L' opera giuri di dirsi finita
quando l'impeto si sarà del tutto esaurito,
senza impedimenti,
possibile che il sotterfugio si risvegli
di fronte ad una esplosione tanto brillante
quanto appagante.
Aspettative disattese
Mi impossesso di un biglietto da visita.
È lo scambio consensuale con una persona incontrata,
forse speciale.
Sempre questione di contatti.
Vorrei utilizzarlo ma mi sento in imbarazzo.
Potrebbe restare in fondo al portafogli.
L'enfasi di comunicare e di farsi sentire
man mano svanisce.
Era proprio una persona speciale,
la stessa che, il mio nominativo,
da lì a poco,
l'ha stracciato in modo intuitivo.
Un'altra aspettativa disattesa.
Tipi ingombranti
Siamo tipi ingombranti per mille motivi, socievoli ma a fino a un certo punto.
Siamo ingombranti e poco intriganti.
Perché ci si esprime male e non si lascia cadere nel vuoto una sola parola.
Se nella sala d'attesa la finestra è spalancata per la paura del virus
influenzale.
Ingombranti perché solo un'ombra altrui ci dà fastidio.
Ingombranti dai toni saccenti, per una lusinga che si scambia
per una drammatica offesa, con le dita nel naso in un luogo pubblico
ma in questo caso è una evidenza scientifica.
Veri personaggi ingombranti, conosciuti e con cui ci si è scontrati.
Il paradiso è sempre al piano superiore e si oltrepassa in modo sistematico
il "vietato l'accesso".
Intuizioni ingombranti, perché un'opera di un artista ci pare uno scarabocchio,
sotto la scala aperta non si passa neanche morto, la seconda posizione ci
sembra una congiura, se sale il prezzo per ognuno che non è dello stesso
quartiere.
Ingombrante qualunque oggetto decisamente fuori posto e ogni battuta
fuori luogo.
Apro la porta al mendicante
Con le dita infarinate apro la porta al mendicante, sarà un caso
ma si è presentato all'ora di pranzo.
Tutti lo conoscono, di lui ci si fida, l'ha presentato il prete,
ha una lunga storia di sofferenza, ma oltre ciò non ho indagato.
Di solito prendo qualche centesimo, monetine che prendo dal borsello.
Alla porta, senza che faccia un passo dentro casa,
gli do quello che mi sento.
Un saluto cordiale, una battuta casuale, l'individuo gira le spalle
e va via parlando con qualcuno che si trova nei paraggi.
Aspetto la solita mossa,
un altro campanello da suonare e riprendo a fare quello che mi resta,
con le mani ancora sporche di farina.
Quel giorno ho avuto una intuizione, una strana percezione.
Chiedo il nome del mendicante e lo invito a pranzo, anzi,
prepariamo insieme la tavola, più qualche manicaretto da fare in casa.
Che storia mitologica,
si è messo a parlare della sua famiglia, del lavoro che ha intrapreso, era
impiegato in un ufficio pubblico.
La sfortuna di vita gli ha modificato il suo programma…(continua a leggere)
prossimamente in libreria e nei migliori store online